Di Carlo Vassotto
Essere tifosi vuol dire non essere obiettivi fino in fondo, lo sappiamo e lo accettiamo, anche se ci sono quelli (e personalmente credo di essere tra loro) che si sforzano di provarci e forse si illudono di riuscirci. Ci sono momenti, però, quando si è soli e si ragiona con calma, senza subire condizionamenti e non ci si preoccupa di apparire diversamente da ciò che si è, né ci si vergogna di pensare con la propria testa e di rifiutare tesi preconfezionate, quando è difficile mentire a se stessi e perseverare in certi atteggiamenti ispirati da prevenzioni radicate da convinzioni popolari a dir poco fuorvianti.
In parole più semplici e immediate nessun tifoso non juventino dotato di un cervello mediamente normale dovrebbe ancora credere davvero alle favole scritte da Calciopoli e raccontate dai media che hanno avuto buon gioco a sfruttare il ritorno anche economico garantito dalla vicenda e dai suoi echi. Chi ha osannato il procuratore federale Palazzi e le conclusioni da lui a suo tempo tirate e accettate dai giudici sportivi per condannare la Juventus e la Triade dovrebbe anche tenere conto di quella sua relazione del luglio 2011 che ha trasformato l’Inter da sedicente onesta a prescritta conclamata e reso teorica e postuma giustizia ai dirigenti bianconeri dell’epoca, i cui comportamenti furono di fatto meno discutibili di quelli tenuti da altri. Pertanto nessuno dovrebbe mettere in discussione il numero degli scudetti juventini, già solo analizzando serenamente quanto emerso negli anni successivi al 2006.
In questa sede, però, mi preme sottolineare come per un tifoso che si rispetti debba contare sempre e comunque il verdetto del campo, quello scaturito dall’andamento delle partite che hanno trasmesso alla gente le emozioni del momento, quel “vissuto” che trasuda di verità, di realtà, che nessuna sentenza può cancellare riscrivendo a tavolino una classifica, tramutando la rabbia di chi lanciava motorini dagli spalti in una gioia falsa, non provata e che nessuno può restituire nemmeno a chi ne fosse stato privato in modo realmente fraudolento. Allo stesso modo nessuno può svellere dai cuori bianconeri i fremiti di entusiasmo indotti da due campionati conquistati da una grande squadra dimostratasi indiscutibilmente la più forte.
Di più. Avete mai pensato che tutti gli annuari calcistici che raccolgono i dati statistici non hanno mai cassato nulla di quanto avvenuto in campo in quelle stagioni? Se, dunque, contano il numero delle vittorie, dei pareggi, delle sconfitte, dei gol segnati e subiti, le performances dei giocatori, perché mai non dovrebbero essere considerati validi quegli scudetti che sono la logica conseguenza di tutto quel patrimonio di gesta tecniche e agonistiche prodotto con il pallone e non con arzigogolate, incomplete, inaffidabili tesi processuali?
Senza dimenticare che esistono sentenze in cui si afferma che le partite del campionato 2005-2006 (quello del 28° scudetto revocato e non assegnato) non sono state alterate e che nessun illecito sportivo ascrivibile alla Juventus è mai stato provato. Il campionato successivo, poi, “regalato” all’Inter da Guido Rossi, non è mai nemmeno stato sottoposto ad alcuna indagine.
Ecco perché la Juventus, tutta, non solo la sua tifoseria, rivendica quegli scudetti e li sente propri, tanto da contare 31 tricolori e da sfoggiarli con orgoglio e convinzione.
La ferita, però, è ancora aperta e la società è consapevole che il conteggio ufficiale dovrà essere prima o poi rimesso a posto. Lo chiedono i tifosi, lo esige la storia. Giulio Andreotti, che non si arrese mai e lottò per dieci anni in tribunale contro l’accusa di associazione mafiosa, quando venne assolto dichiarò di non essere sorpreso e di sapere già in cuor suo di essere innocente ma che questo non era sufficiente perché: “non basta avere ragione, bisogna trovare chi te la da”.
Non arrendiamoci.
